Patrimonio
Paesaggi Portuali
Ancona

IN VIAGGIO TRA I DUE LUNGOMARI

Ankòn – gomito in greco – è la città intorno al porto, l’abbraccio urbano che si distende tra due lungomari. Il lungo viaggio che inizia dalla darsena turistica di Marina dorica, prosegue nelle aree in sviluppo dei cantieri degli yacht, e approda sulle banchine commerciali. Da quel punto la linea di costa introduce all’area della pesca e del mercato ittico di fronte alla Mole Vanvitelliana, in una sequenza di curve e parabole dove attraccano pescherecci, vongolare, traghetti, navi da crociera, imbarcazioni per i servizi tecnico-nautici. Poi, oltre il grande Arsenale con le navi in costruzione, la linea di costa riprende il suo corso tra grotte, strapiombi, scogli che sembrano sculture, e in alto il parco del Cardeto con le essenze arboree i labirintici sentieri. Così si giunge alla spiaggia cittadina del Passetto, segnata dal mitico ascensore bianco che sigilla il viaggio tra i due lungomari. Altrettanto affascinante è il percorso urbano tra i due lungomari, col Viale che inizia già al Porto, attraversa la città storica e sale in linea retta fino all’affaccio sulla scalinata. Lì riappare l’ascensore a picco sul mare – un faro di vetro e luce con un salto mozzafiato di 46 metri.

Il porto dei luoghi, delle persone, dei lavori; il porto dei monumenti e dei rituali, dei volti, delle storie e delle tradizioni; il porto delle identità, delle lingue, delle prospettive e delle memorie di luogo. E’ una lettura d’autore quella che Gian Luca Favetto ( Torino, 1957) –  poeta, giornalista, scrittore, drammaturgo italiano – ha costruito per il porto dorico su committenza dell’Autorità di sistema portuale del mare adriatico centrale. Gian Luca Favetto scrive sul quotidiano la Repubblica, ed è una voce storica di Radio Rai. Ha ideato il progetto Interferenze fra la città e gli uomini. Tra i suoi lavori più celebrati: Se dico radici dico storie, le poesie Mappamondi e corsari, l’audiolibro I nomi fanno il mondo, il romanzo La vita non fa rumore, il racconto Un’estrema solitudine.

Testo: Cristiana Colli

LE GROTTE

di Gian Luca Favetto

Insospettabile. Un luogo d’incanto e di incontri. Un luogo che si trova, appunto, in un canto della città, voltato l’angolo, più a est/sud-est rispetto a dove il porto volta le spalle al mare. Vive in una condizione sospesa, in faccia alle onde, contro una scogliera.

Il viaggiatore che arriva ad Ancona – da qualunque parte arrivi, anche dal mare – non lo vede. Deve prima raggiungere il Passetto, un rione cresciuto negli anni Sessanta, dove c’è il monumento in pietra d’Istria dedicato ai caduti della Prima guerra mondiale. E poi la sua spiaggia rocciosa, che fa parte del Parco del Conero. Bisogna scendere giù. Servendosi degli stradelli o di un ascensore, volendo.

E arriva la sorpresa: una serie di grotte vissute nei giorni di festa e nella bella stagione. Un’infilata di portoni. All’incirca centoventi. Un’immagine fortemente evocativa di un’altrove fantastico, qualcosa che sta fra i Caraibi e la Provenza.

È uno spazio per lupi di mare. Questo sono i grottaroli, uomini o donne che siano, vecchi o bambine, anche quando girano per le vie degli altri quartieri, dove pure vivono: marinai con la salsedine nel sangue, la pelle di squalo e il cuore che batte al ritmo delle onde.

Le grotte scavate dentro la roccia nell’arco di un secolo, fra metà Ottocento e gli anni Sessanta del Novecento, erano usate in origine come ricovero per le barche, per lo più lance e batane con cui si andava a pesca e a raccogliere i moscioli. Tutto il materiale veniva portato a mano, ghiaia, cemento, mattoni. Con il passare del tempo, sono diventate ricoveri di frigoriferi, cucine e sdraio, un agglomerato di umanità, di vite e di storie. Una specie di seconde case. Un luogo di uomini trasformato e reso vivibile dalle donne, che fino al Dopoguerra qui non venivano.

Il sistema delle grotte rappresenta un’economia di sussistenza: la pesca come integrazione al lavoro dei campi. Non per niente i grottaroli, che da anni usufruiscono di queste strutture, passandosele di generazione in generazione, erano chiamati “i contadini del mare”.

Tutte sono dotate di porte e portoni, in fila, uno accanto all’altro. Sono una collana ben distesa di colori: blu, giallo, azzurro, marrone, ocra. E poi scale, cancelli, pedane, attrezzature per la pesca, pavimenti di mattonelle, arredi di recupero. Sono uno straordinario esempio di architettura inserita perfettamente nell’ambiente naturale. La si può visitare seguendo un percorso fra terra e mare che arriva fino alla “Seggiola del Papa”, una roccia con la forma di imponente sedile, e passa oltre.

A prima vista questo scorcio, che si trova giusto sotto le ripe di Gallina, in un territorio fatto di marna, appare come una installazione d’arte contemporanea, cui contribuisce la natura, con le sue piante là in cima, a far da capello, e il mare a dare movimento e azione.

Le regole del Parco del Conero impongono il rispetto e la conservazione delle grotte, stabilendo che non sia compromesso “il rapporto diretto delle grotte con il mare che costituisce uno straordinario esempio di integrazione tra uomo e natura”. Un pezzo di passato che resiste. Un modo antico di andare verso il futuro.

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