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L’ARCO DI TRAIANO

Lui l’Arco di Traiano, icona per i viaggiatori che arrivano e che partono, è tra le testimonianze romane più importanti delle Marche, uno dei monumenti romani meglio conservati d’Italia, tra i più simbolici e identitari di Ancona nei secoli – tanto che nel 1700 ogni capitano di bastimento che arrivava in porto doveva versare 60 baiocchi per la sua conservazione. Progettato e realizzato da Apollodoro di Damasco nel 115 d.C. in onore dell’imperatore Traiano cui si deve l’ampliamento del porto di Ancona, marmo bianco e colonne corinzie, è spettacolare slanciato e maestoso, sfiora le banchine, accompagna lo sguardo lungo la dorsale che segna il confine con lo storico arsenale, oggi cantiere navale, incide lo skyline insieme alla grande gru a cavalletto bianca e rossa che guida le azioni di montaggio e costruzione delle grandi navi da crociera.

Sopra, imponente sulla falesia il Duomo di San Ciriaco, proteso tra cielo e mare, al confine con l’anfiteatro romano, il Museo Archeologico e il Parco del Monte Cardeto; in lontananza l’affaccio urbano con le facciate dei palazzi storici, le chiese e la Mole Vanvitelliana. L’Arco di Traiano è il cuore del Porto Antico, un raro esempio di coabitazione tra la dimensione monumentale e quella del lavoro: sulla banchina verso il mare si staglia l’Arco Clementino, edificato su progetto di Luigi Vanvitelli in onore di Clemente XII, e verso terra sotto la falesia e alle spalle della Casa del Capitano, ci sono i resti dell’antico porto romano, con un tratto della cinta muraria edificata a protezione del porto nel II secolo  a.C, e ambienti di età traianea – II e III secolo d.C. La dimensione identitaria del porto antico, e i suoi collegamenti col centro storico segnano la percezione dell’waterfront. Puro e assoluto contro il cielo, l’Arco è un omaggio alla relazione perenne e misteriosa tra la terra e il mare. Un presidio millenario che vigila sul movimento e sui traghetti che attraccano, i rimorchiatori che accolgono e accompagnano, i servizi a terra; un segno di luce urbana, un luogo di energie diverse, di contemplazione e meraviglia che veglia sul fronte mare, e sulle corse dei runners. Un reperto al centro di racconti e analisi minuziose che utilizzano molteplici linguaggi – dalla narrazione testuale alla ricerca fotografica, agli studi scientifici realizzati con le più sofisticate tecnologie digitali. Un saluto e un benvenuto ai naviganti.

Il porto dei luoghi, delle persone, dei lavori; il porto dei monumenti e dei rituali, dei volti, delle storie e delle tradizioni; il porto delle identità, delle lingue, delle prospettive e delle memorie di luogo. E’ una lettura d’autore quella che Gian Luca Favetto ( Torino, 1957) –  poeta, giornalista, scrittore, drammaturgo italiano – ha costruito per il porto dorico su committenza dell’Autorità di sistema portuale del mare adriatico centrale. Gian Luca Favetto scrive sul quotidiano la Repubblica, ed è una voce storica di Radio Rai. Ha ideato il progetto Interferenze fra la città e gli uomini. Tra i suoi lavori più celebrati: Se dico radici dico storie, le poesie Mappamondi e corsari, l’audiolibro I nomi fanno il mondo, il romanzo La vita non fa rumore, il racconto Un’estrema solitudine.

Testo: Cristiana Colli

 

ARCO DI TRAIANO

di Gian Luca Favetto

Slanciato, questo il pregio. Sembra un passo, un passaggio più che un opera architettonica – là, un po’ da parte, a osservare arrivi e partenze. Guardando attraverso, si può passare dal mare al monte e viceversa: così entrano in comunione il molo 22 con il colle Guasco, le onde e i viaggi con l’attesa e la riflessione.

Questo Arco è un andare, un movimento più che un monumento piazzato immobile tra le pagine del porto a segnare con solenne ostinazione il tempo suo e non il nostro. Invece, per l’eleganza e la leggerezza delle sue colonne corinzie, per le proporzioni e il colore, per quel marmo bianco rilucente di cui è fatto, che sembra bolle di sapone, aria, fantasia, risulta nostro contemporaneo. Ha traversato i secoli chiacchierando con il mare, rimanendo perfettamente al passo con i tempi, con i singoli tempi e le diverse epoche. Anzi, dando lui il tempo, come può darlo un metronomo.

Ha la grazia di un capo d’opera. Non appare come una composizione, una costruzione edificata accostando parti diverse, bensì come un pezzo unico. Come se un’unica mano lo avesse scolpito e ricavato da un immenso blocco di marmo. È stato l’insigne Apollodoro a progettarlo, a inizio del Secondo secolo dopo Cristo, nel periodo di massimo splendore della città di Ancona, ai tempi dell’impero romano.

Apollodoro di Damasco era l’architetto prediletto di Traiano, per cui ha immaginato e realizzato fori, porti, ponti, archi, colonne, segnando con i suoi lavori un intero periodo storico, prima di cadere in disgrazia presso Adriano, il successore di Traiano. Di lui il nuovo imperatore, secondo la testimonianza di Cassio Dione e il racconto di Marguerite Yourcenar, diceva: “Sapeva disporre con arte i blocchi di marmo, ma non conosceva le cose degli uomini”. E alla fine, essendo il vecchio architetto schierato con gli oppositori che tramavano nell’ombra, ne ordinò l’uccisione.

L’Arco segna il luogo da cui l’imperatore Traiano, che aveva ampliato e rafforzato a sue spese il porto di Ancona, rendendolo una base sicura per i commerci, il 25 marzo del 101 d.C. è salpato per la vittoriosa campagna contro i Daci, la popolazione che viveva nelle terre al di là del mare Adriatico, oltre il Danubio, quelle che oggi costituiscono gran parte di Romania e Moldavia.

In origine, a ornamento e protezione, aveva sei statue in bronzo, tre che guardavano il mare e tre rivolte verso terra. Quelle verso terra raffiguravano l’imperatore Traiano, sua moglie Plotina e sua sorella Ulpia Marciana. A perdere lo sguardo sulle onde, in modo da curarle e addomesticarle, erano tre divinità: al centro, Nettuno, dio del mare che impugna il tridente; al suo fianco, Portuno, con le chiavi in mano, dio dei porti e delle porte, e Mercurio, messaggero degli dei con le ali ai piedi, la divinità che protegge il commercio e i viaggiatori, nonché i ladri peraltro e l’eloquenza, l’arte del dire bene le cose, di produrre il bello con le parole, il talento del racconto.

Simbolo della memoria, l’Arco non più di Traiano ma di Ancona, rimane un’apertura dove passato e presente entrano in colloquio. E parlano del futuro.

 

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